Nella bolla di Imola: l’emozione della Formula 1 dal vivo

Il racconto del Gran Premio di Imola, il primo di Formula 1 visto dal vivo.

Com’è guardare la Formula 1 dal vivo? È una domanda che, personalmente, mi ha accompagnato per diversi anni della mia vita. Dopo un po’ di tempo finalmente ho avuto una risposta e, se andare ad un GP è anche un vostro desiderio, nelle parole che seguono troverete il recap della mia esperienza a Imola, settimo appuntamento nel calendario della stagione in corso. Non è mio volere fare uno spoiler a quanto seguirà, ma allo stesso tempo ne sento la necessità, probabilmente guidato ancora dalle emozioni di quella giornata che non abbandonano la mia mente: andateci, è una figata pazzesca. Ops.

Pronti, partenza, attesa: la mattinata di Imola

La sveglia è suonata presto, verso le 5:00. Neanche il tempo di realizzare cosa stesse succedendo ed ero già sul treno che mi avrebbe portato ad Imola. Abbandonati i binari, la strada verso l’autodromo è breve e piacevole, questo perché ad accompagnarti fino ai tornelli c’è un’intera città addobbata a tema Formula 1. Immagine un lungo viale con decorazioni natalizie e a queste sostituite qualsiasi cosa possa richiamare alla classe regina dell’automobilismo: negozi dedicati, stand ai bordi della strada, bandiere, cartelli stradali, disegni e scritte sui muri che profumano di storia e, in più, una folla di gente anch’essa brandizzata Formula 1 nel vestiario che sta vivendo le tue stesse sensazioni. Già in questi attimi ho avuto modo di comprendere cosa intendesse dire Federica Masolin, ex volto Sky Sport Italia del paddock, in una recente intervista, quando definì ogni Gran Premio come una piccola Olimpiade.

Ogni cosa ha il suo posto, la sua valenza e il suo modo di essere. Tutto è curato nei piccoli particolari, i pezzi del puzzle si incastrano tra loro alla perfezione per permettere a quello che è a tutti gli effetti uno show di manifestarsi. Tutto è programmato nel più minuzioso dettaglio, perché la Formula 1 negli ultimi anni non è più solo un campionato, è un vero e proprio modo di essere e di vivere il motorsport. Tale sensazione si amplifica una volta varcati i tornelli: l’impressione è quella di essere entrato in una bolla, dove il tempo scorre lento sotto al sole incandescente ed è scandito dai battiti del tuo cuore che si riempie di vita. Superati i controlli di sicurezza appunto, è il tempo di dirigersi al proprio settore, nel mio caso il Prato Tosa.

Tra il dire e il fare però, vi è l’appuntamento con la storia, il dolore e la commemorazione dinanzi al memoriale di chi, in quelle curve che già intravedi ai tuoi lati, ha suo malgrado scritto una delle pagine più tristi della storia del motorsport. Il monumento con la funzione di memoriale di Ayrton Senna lo vedi apparire ai tuoi occhi solo all’ultimo momento data la mole di gente che lo circonda, quando non sei ancora pronto alla cappa di tristezza che lo circonda e che sta per investirti. Lui è lì, seduto con la testa china, quasi a non voler guardare cosa vi è oltre le recinzioni. Perché è proprio lì, vicino al punto in cui sorge il monumento, che il pilota brasiliano perse il controllo della sua vettura schiantandosi contro le barriere in quel nefasto 1° Maggio 1994, nell’incidente in cui perse la vita.

L’area circostante al monumento è adornata da una distesa di fiori, bandiere, foto e ricordi della sua brillante e troppo breve carriera. Allontanandomi da questo spazio mi sono poi diretto, e questa volta per davvero, al mio settore. Altri controlli per entrare nella zona dedicata e, poi, la realizzazione: erano solamente le 8:45, ma ogni singolo spicchio verde d’erba era già ricoperto da zaini, teli e persone. Piccolo consiglio a questo punto ovvio: andate prima se non volete sgomitare con l’intera marea rossa per ritagliarvi un piccolo spazio. Uno spazio, per di più, un po’ scomodo, la pendenza del prato è alquanto accentuata, la televisione inganna la percezione. Non scivolare da seduti e non inciampare quando si è in piedi è il vostro piccolo trofeo di giornata.

Ok, ma una volta trovato posto cosa si fa fino all’ora di partenza del Gran Premio? Potrei dirvi che le altre gare in programma, come Formula 3, Formula 2 e Porsche Supercup vi tengono compagnia o che già il solo fatto di essere lì in quel momento ripaga l’attesa. E ok, in parte è vero. Ma la verità porta con sé anche quel pizzico di noia e stanchezza che ad un certo punto, inevitabilmente, ti pervadono. Poi, come d’incanto, quella sensazione svanisce quando verso le 13.00 il maxischermo inquadra il bus scoperto sul quale ci sono tutti i piloti pronti per la parata, tutti intenti a completare un giro di pista per salutare tutto il pubblico presente.

Quando stacchi gli occhi dallo schermo, praticamente quando il bus è completamente nel tuo campo visivo, il chiasso si fa assordante, sei incredulo, scambi uno sguardo con chi sta condividendo l’esperienza con te e puoi percepire ogni singola vibrazione dei suoi pensieri. Nel mentre il bus arriva a pochi metri da te, qualcuno saluta, qualcuno un po’ si nasconde, qualcuno, come Lewis Hamilton, nella sua prima gara in casa in rosso, non vuole privarsi di nulla ed è infatti un passo avanti a tutti intento a filmare il momento, a salutare all’impazzata e a sorridere con spontaneità incontenibile dinanzi all’affetto del pubblico che urla il suo nome.

Il momento dura poco, troppo poco, ma da lì in poi sei in trepidante attesa, fai il pieno di adrenalina a sufficienza per aspettare quelle due ore che ti separano dallo spegnimento dei semafori. Se a qualcuno non fosse bastato ciò però, Andrea Kimi Antonelli, alla prima gara di casa in Formula 1, ha rincarato la dose con un giro extra in compagnia di suo padre, si prendeva tutto l’amore che il pubblico aveva per lui. Ha lanciato cappellini, toccato con mano chi ha avuto la fortuna di essere a ridosso delle recinzioni ed è poi inciampato nel risalire in macchina, forse un piccolo campanello d’allarme per il suo ritiro, avvenuto proprio nei pressi di dove si era reso protagonista del siparietto in tarda mattinata.

Dal semaforo alla pit lane: l’urlo della marea rossa

Dopo neanche un’ora, il momento che hai vissuto milioni di volte nella tua immaginazione finalmente arriva. I piloti scendono in pista per i canonici giri che potremmo definire di rodaggio, durante i quali l’obiettivo è quello di fare un check-up generale alla monoposto e di controllare il feeling con la stessa e con il circuito prima di sistemarsi nella casella in griglia di partenza (probabilmente tre giri, ma ero abbastanza confuso quindi non garantisco). Cosa ho pensato guardando una monoposto di Formula 1 per la prima volta? Incredibile quanto siano lucide. Lo so, un po’ deludente come pensiero, ma è la prima cosa che è saltata ai miei occhi quando Oscar Piastri, in pole e dunque primo a passare, percorreva la Tosa.

Il rumore del motore è poi una sinfonia che posso ancora sentire nel momento in cui sto scrivendo queste parole: ti entra dentro, così come quello di ogni singola scalata di marcia. Quando passano le Rosse di Leclerc ed Hamilton è un’estasi, migliaia di persone urlano il loro nome e incitano i beniamini di casa. Non possono sentirti ovvio, ma a nessuno importa in quel momento. La speranza è che riescano quantomeno ad intravederti per una frazione di secondo, ma anche questo è ai limiti della realtà. E a te in fin dei conti basta solamente sentirti più vivo che mai e parte di un qualcosa che difficilmente dimenticherai.

La gara in sé poi è una storia a parte, la cronaca di questa è relativa, sappiamo tutti com’è finita. Durante tutti i giri sei un po’ imbambolato e la storia, rispetto al warm-up non cambia: al passaggio delle Rosse urli così tanto che, per qualche assurdo motivo, vista la rimonta clamorosa di entrambi dopo il disastro del sabato, credi di aver indirettamente garantito qualche cavallo e chilometro orario in più ad Hamilton e Leclerc. Al termine, quando i giochi sono fatti, è il momento dell’invasione di pista.

Raggiungere il podio partendo dalla Tosa non è possibile, troppo lontana. Ma una volta in pista puoi osservare tutto nei minimi particolari: com’è fatto davvero un cordolo, come sono le caselle della griglia, quanto è profonda la ghiaia ai limiti della pista e com’è fatta una qualsiasi cosa di tuo interesse. Ultimamente va di moda rubare qualche cartellone degli sponsor, ma non ci sono riuscito, mi hanno beccato. E gli steward non sono affatto gentili quando ti fanno notare che stai facendo qualcosa di sbagliato.

Però ho portato a casa con me un pezzo di gomma – il marble – triturato dallo stesso pneumatico e che si accasa ai bordi dell’asfalto: lo custodisco sulla scrivania, anche se onestamente non so quale sia il posto giusto in cui esporlo. Dopo averlo raccolto mi sono diretto verso la pit lane, attendendo magari l’affacciarsi di un pilota per un rapido saluto, ma nulla da fare dopo diversi minuti di attesa. Come mi allontano e non ho più modo di vederli, eccoli lì che spuntano. Hamilton, Leclerc e, perché no, anche Francesco Bagnaia (sì, anche lui). Altro consiglio: perseverate, era scontato un saluto alla gara di casa, ma la pazienza non mi è mai appartenuta.

Il lato oscuro della Formula 1 dal vivo: la lunga notte dei tifosi

Il momento di abbandonare la pista arriva, ma non ti lascia un senso di malinconia. Sai di aver assistito ad uno degli spettacoli più in voga del mondo contemporaneo e questo ti porta a lasciare l’autodromo con quel ghigno di chi inizia a rendersi conto di cosa ha vissuto. Ti appresti a intraprendere la via di casa, e casa un po’ la desideri per la stanchezza che provi. E mentre sogni di poter essere già lì, inizia l’incubo. Quello di uscire dall’autodromo alle 18:00 e arrivare a casa, nel mio caso Ferrara distante un’ora di treno, a mezzanotte inoltrata. Facile immaginare che non sia stata una passeggiata.

Arrivare alla stazione di Imola e trovarsi davanti migliaia di persone in fila per un treno o un pullman, ti fa capire come non solo non sarà una passeggiata, ma una scalata. Raccontare nei minimi dettagli ogni attimo di queste sei ore interminabili sarebbe pura follia, né darvi l’ennesimo consiglio su come risolvere il problema. Il consiglio, in questo caso, non esiste. Potrei dirvi di alloggiare ad Imola e zone limitrofe, magari raggiungendo il circuito in auto, ma la spesa in termini economici sarebbe a dir poco da capogiro e si tratterebbe di un suggerimento da Mister Ovvio.

Armatevi di quel pizzico di astuzia e sana crudeltà verso l’essere umano al vostro fianco, così tornerete comunque tardi a casa, ma almeno ci tornerete. E questa, onestamente, è l’unica critica che può essere mossa al pacchetto organizzativo tra Formula 1 e Comune di Imola, tenendo comunque bene a mente come gestire una folla di tale calibro non è mai cosa di poco conto. Migliaia di persone non possono rischiare di dover passare la notte in strada, non possono sentirsi dire come una soluzione vera e propria non esista. Urge intensificare le tratte e migliorare le modalità di deflusso, garantendo una sicurezza che in diversi momenti è apparsa inefficiente.

La prima volta non si scorda mai

Ammetto che concludere esprimendo le preoccupazioni su una problematica non di poco conto è un po’ in contrasto con lo spoiler fatto nelle prime righe. La totalità dell’esperienza mi porta però comunque a ribadirlo: andateci, è una figata pazzesca. Ricorderai con gioia la sveglia che ti ha buttato dal letto. Ricorderai con brio l’intera strada verso l’autodromo. Non dimenticherai il suono della lettura del barcode che ti spalanca l’accesso. Non dimenticherai mai lo sguardo che hai scambiato con gli amici al tuo fianco e l’incredulità sui loro volti quando avete visto una Ferrari e i suoi piloti per la prima volta.

Nei giorni successivi farai fatica a dormire, pensando al chiasso della folla. Chiuderai gli occhi e ti sembrerà di vedere tutto rosso. Non dimenticherai le peripezie del viaggio di ritorno, quando non ti hanno detto e fatto sapere nulla sul come saresti rientrato. E questo, fidatevi, è qualcosa che non si cancella, soprattutto se nel bel mezzo la tua squadra, l’Inter, perde il campionato di Serie A per un rigore allo scadere. Non dimenticherai mai di quella volta che in mezzo ad una miriade di sconosciuti sei tornato bambino e ti sei sentito a casa, tornando al giorno in cui hai visto la prima gara di Formula 1 con tuo padre, quando all’epoca pensavi fosse un supereroe. E tutto ti è sembrato semplicemente come doveva essere: intenso, lancinante, surreale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *