Il caso più interessante è quello del soccer, come generalmente viene chiamato il calcio in Nord America. Negli ultimi anni la retorica football vs. soccer – con i britannici che rivendicano il primo come vero nome di questo sport, e gli statunitensi che invece difendono il secondo – è un altro suggestivo esempio di invenzione della tradizione: la verità – e qui molti potrebbero restarne sbigottiti – è che soccer è tanto corretto quanto football, e di americano ha ben poco. Basti considerare che, quando il calcio viene portato dagli inglesi anche in altri continenti, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, assume spesso il nome di soccer: succede parzialmente in Sudafrica e, in maniera più evidente, in Australia e Nuova Zelanda.
La motivazione primaria è che in questi Paesi la disciplina già esisteva, ma con regole diverse. Non dobbiamo esserne troppo sorpresi, pure in Inghilterra c’erano diversi tipi di football, alla fine dell’Ottocento: la divisione principale era tra quello giocato secondo le regole della Football Association del 1863 (association football) e quello giocato secondo le regole della scuola di Rugby (Rugby football). Il football era arrivato a vari angoli del mondo anglofono, attraverso le public schools, in una sua fase ancora embrionale e con un regolamento non pienamente definito, sviluppandosi autonomamente: erano così nati l’American football (ideato da Walter Camp tra il 1878 e il 1882, quando studiava a Yale), il Canadian football (che ha preso forma tra il 1880 e il 1903) e l’Australian football (le cui prime regole risalgono addirittura al 1858). Tutte queste versioni prendevano ampiamente spunto dal rugby, ma è significativo che, invece di importare semplicemente il gioco britannico, ognuno di questi tre Paesi abbia deciso di sviluppare un regolamento proprio. Anche in questa storia, come possiamo immaginare, il nazionalismo ha avuto un ruolo cruciale: nell’impossibilità di rivendicare l’invenzione del football, i praticanti di Stati più o meno indipendenti dal Regno Unito decisero di farlo proprio modificandolo a loro piacimento. Sono nati così tre sport che, a partire dal nome con cui sono noti ancora oggi, denunciano esplicitamente la propria appartenenza nazionale.
Ma torniamo al calcio. Diffondendosi in questi Paesi solo in seguito al Rugby football, il gioco della FA dovette adottare un altro nome per differenziarsi ed evitare confusione, e si propese per soccer. Questo nome, oggi sdegnosamente disconosciuto da qualsiasi appassionato britannico che si rispetti, era nato nientepopodimeno che alla scuola di Oxford, uno degli ambienti inglesi per eccellenza. Intorno alla metà degli anni Settanta dell’Ottocento, lì si era iniziato a utilizzare a livello gergale la desinenza “-er” per riferirsi a varie cose: il Rugby football, per esempio, era noto tra gli studenti come rugger (cioè “quello di Rugby”, sottintendendo football); pertanto, il gioco secondo le regole della FA era diventato soccer (vale a dire “quello dell’Association”).
Curiosamente, gli statunitensi resisterono ben più a lungo rispetto ai britannici nel ricorrere a questo nuovo termine: nel Regno Unito, football e soccer divennero presto forme alternative per indicare il calcio, e nel 1905 il New York Times dovette spiegare ai suoi lettori che soccer era una parola che veniva di frequente usata a Oxford e Cambridge. Nel 1913 gli americani diedero vita alla loro prima Federcalcio, intitolandola United States Football Association: si dovette attendere il 1945 per trovare soccer nella denominazione, peraltro in associazione a football (United States Soccer Football Association), e solo dal 1974 avvenne la sostituzione tra i due termini. Nello stesso periodo, invece, nel Regno Unito erano ancora entrambi utilizzati senza problemi come alternativi: in un articolo del Daily Mail del luglio 1977, il clamoroso trasferimento dell’allenatore dell’Inghilterra Don Revie negli Emirati Arabi Uniti viene descritto come «the most amazing contract in the history of soccer».
Ma come si è arrivati a una situazione in cui una parola viene identificata come “inglese” e l’altra come “statunitense”? Il nome del calcio è stato oggetto di una battaglia linguistica legata a specifiche situazioni sociali, politiche ed economiche. Come detto, negli Stati Uniti si iniziò a preferire soccer a football all’inizio degli anni Settanta, in un periodo in cui diversi imprenditori locali stavano investendo per costruire un nuovo campionato professionistico in grado di competere sia con le grandi leghe degli sport americani (football e baseball, soprattutto) e poi anche con quelle del calcio europeo. Il gioco non era certo una novità assoluta in Nord America, ma la sua storia era sempre stata complicata e non godeva di grandi fortune, principalmente perché non veniva percepito come “americano”.
La scelta di spingere per la denominazione soccer fu dunque motivata innanzitutto dalla necessità di creare un brand commerciale, ma poggiava su basi esplicitamente nazionalistiche: gli statunitensi non si interessavano alle tradizioni straniere, ma solo alle proprie. Per ragioni simili, nel giro di pochi anni il neonato campionato NASL (North American Soccer League) iniziò a adottare anche alcune bizzarre modifiche al regolamento, non accolte benissimo dalla FIFA: il timer delle partite venne fatto procedere a ritroso da 90 a 0 minuti, come negli altri sport americani; venne introdotto un College Draft; la linea della validità del fuorigioco venne spostata da centrocampo ai 32 metri dalla porta avversaria; le vittorie valevano 6 punti, e le squadre ottenevano 1 punto extra per ogni gol segnato (fino a un massimo di 3 punti); le partite che terminavano in pareggio dopo 90 minuti venivano decise ai calci di rigore, che dal 1977 si decise di far tirare sul modello di quelli dell’hockey su ghiaccio. Tutte queste apparenti assurdità avevano lo scopo di “americanizzare” un gioco che americano non era, ma che solo così si riteneva potesse piacere al pubblico. Paradossalmente, dopo un iniziale successo, nei primi anni Ottanta la NASL naufragò, e quando, successivamente, il calcio cominciò lentamente a conquistarsi un proprio pubblico negli Stati Uniti, lo fece rispettando le regole riconosciute a livello internazionale (ma questo fenomeno è stato dovuto soprattutto all’interesse degli immigrati latinoamericani).
Mentre gli statunitensi cercavano di appropriarsi del pallone, dall’altra parte i britannici decisero, quasi negli stessi anni, di abbandonare soccer e rivendicare unicamente football come unico vero nome del loro gioco. Più che inventare una tradizione, in questo caso ne cancellarono un’altra, rimuovendo dalla memoria collettiva di aver coniato e utilizzato soccer per un secolo. Per quanto ci siano molti articoli che raccontano il motivo per cui i nordamericani hanno adottato questo termine, è quasi del tutto ignorato perché gli inglesi abbiano deciso di ricorrere solamente all’altro. Questo cambiamento è avvenuto nel corso degli anni Ottanta, e probabilmente anche qui per ragioni identitarie: la crescita di popolarità del calcio negli Stati Uniti ha progressivamente generato una certa antipatia nel pubblico britannico per la parola soccer, provocandone un rifiuto.
Non va sottovalutato il contesto politico e culturale del periodo, marcato da una crescita dei discorsi nazionalisti e dell’estrema destra del National Front, lungo tutti gli anni Settanta. L’aumento del fenomeno migratorio nel Paese aveva finito per mettere in un certo senso in crisi l’identità britannica, che è strettamente connessa al calcio. Negli stessi anni, inoltre, la Nazionale inglese visse il suo periodo più drammatico, mancando la qualificazione sia ai Mondiali del 1974 (era la prima volta) che a quelli del 1978. L’idea, quindi, che il football stesse diventando sempre “meno inglese” potrebbe aver giocato un ruolo importante in questo cambiamento.
Tuttavia, questo processo di appropriazione e identità funziona in tanti modi diversi, e non sempre in maniera univoca. Abbiamo detto che il termine soccer non si era diffuso solo in Nord America, ma anche in altre parti del mondo anglofono, dove però ha subìto nel tempo un’evoluzione del tutto particolare. Per esempio, in Australia la locale Federcalcio è stata fondata nel 1961 come Australian Soccer Association, e la stessa selezione nazionale ha assunto il soprannome di Socceroos, ma nel 2005 l’associazione ha cambiato nome in Football Australia (FA), mentre già l’anno precedente il campionato locale Australian Soccer League era stato ribattezzato A-League. È stato seguito lo stesso percorso che all’inizio degli anni Novanta aveva riguardato il Giappone, il cui campionato Japan Soccer League era stato rinominato nel 1992 in J-League. La medesima cosa è poi avvenuta in Nuova Zelanda: nel 2004 ha modificato il nome del proprio campionato da National Soccer League a New Zealand Football Championship (poi diventata nel 2021 New Zealand National League), e nel 2007 ha cambiato quello della Federcalcio da New Zealand Soccer a New Zealand Football.
In questo caso le modifiche a livello di nomenclatura hanno avuto ragioni identitarie più sottili, motivate dalla volontà di distanziarsi dall’esempio americano e avvicinarsi a quello europeo: in poche parole, autorappresentarsi come appartenenti alla comunità del calcio “autentica”, cioè quella d’ispirazione britannica. Frank Lowy, all’epoca presidente dell’FA, parlò proprio di «una mossa simbolica, parte di un ampio processo di riposizionamento del gioco in Australia». Nello stesso periodo, inoltre, il Paese stava lavorando per abbandonare la confederazione oceaniana OFC e iscriversi a quella asiatica (AFC), all’interno della quale è largamente maggioritaria la denominazione football.
I nomi con cui chiamiamo le cose dicono forse nulla o quasi degli oggetti in questione, ma molto su di noi. Un ultimo caso di cui è interessante occuparsi riguarda il Sudafrica, dove nel 1892 venne fondata la federazione SAFA (South African Football Association), che riprendeva dunque la definizione ufficiale inglese: all’epoca, lo Stato era a tutti gli effetti una colonia britannica, e lo rimase formalmente fino al 1931. Questo termine venne però mantenuto anche in seguito all’indipendenza e alla proclamazione della Repubblica del 1961, quando ormai il Paese era saldamente nelle mani del National Party boero, di lingua afrikaaner (un dialetto olandese). Nel 1961 succede però anche un’altra cosa: nasce una Federcalcio alternativa, che non ottiene il riconoscimento della FIFA ma che rappresenta la comunità nera del Sudafrica, maggioritaria ma politicamente discriminata sotto le regole dell’apartheid. Questa associazione assume il nome di South African Soccer Federation (SASF), e crea un proprio campionato parallelo chiamato di conseguenza South African Soccer League (SASL), mentre il campionato ufficiale per soli giocatori bianchi era la National Football League.
Questo testo è un estratto del libro “Il calcio è politica. Lo sport come antidoto al nazionalismo” di Valerio Moggia.